martedì 1 dicembre 2009

Lettera aperta di Michael Moore al Presidente Obama (traduzione)

Ho tradotto questa lettera aperta di Moore ad Obama ritenendola molto significativa. E' una lettere insieme molto densa di contenuti e molto toccante. Intensa.

E tuttavia, mostra tutte le caratteristiche e insieme i limiti della cultura e della politica americane. Una concezione moralista (più che etica) e religiosa della vita e dell'azione politica, una visione leaderistica all'estremo (l'affidarsi ad Obama come nuovo messia), la retorica patriottica, l'idea della società divisa fra speranzosi e portatori d'odio (non vi ricorda un po' Berlusconi?) e non fra ricchi e poveri, lavoratori e padroni, o bianchi e neri. In ultima analisi l'impossibilità di rivolgersi ad un pezzo della società perché controlli e indirizzi la politica, magari con la lotta, e la necessità di appellarsi alla magnanimità di un singolo.

Una lettera toccante, documentata e rivelatrice. Buona lettura.

Ps: una dedica particolare a chi, specie a sinistra, in Italia, ha osannato Obama in questi ultimi 2 anni. Ed a chi, come me, fra gli altri, aveva previsto l'escalation militare con largo anticipo, avesse vinto il candidato bianco o quello nero.







Lettera aperta di Michael Moore al Presidente Obama

Caro Presidente Obama,
vuoi davvero diventare il nuovo “presidente di guerra”? Se andrai a West Point domani sera (martedì, 8pm ora americana) e annuncerai che vuoi aumentare, anziché diminuire, le truppe in Afghanistan, tu sei il nuovo “presidente di guerra”. Puro e semplice. E con questo farai la cosa peggiore che potresti fare: distruggere le speranze e i sogni che milioni di persone hanno riposto in te. Con un solo discorso domani trasformerai una moltitudine di giovani che furono la colonna della tua campagna elettorale in cinici disillusi. Insegnerai loro che quello che hanno sempre sentito dire è vero: che tutti i politici sono uguali. Io non riesco proprio a credere che quello che dicono che tu stia per fare sia vero. Per favore, dì che non è vero.

Fare quello che dicono i generali non è il tuo mestiere. Noi siamo un governo guidato dal potere civile. Siamo NOI che diciamo allo Stato Maggiore cosa fare, non il contrario. E’ in questo modo che il generale Washington insisteva che dovesse andare. E’ questo che disse il presidente Truman al generale McArthur quando McArthur voleva invadere la Cina: “Sei licenziato!”, e così accadde. E tu avresti dovuto licenziare il generale McChrystal quando questi è andato a parlare con la stampa anticipandoti, dicendo alla stampa quello che TU avresti dovuto fare. Lasciami essere brutale: noi amiamo i nostri ragazzi nelle forze armate, ma odiamo quei fottutissimi generali, da Westmoreland in Vietnam a, sì anche lui, Colin Powell, per aver mentito alle Nazioni Unite con quei suoi disegnini inventati delle Armi di Distruzione di Massa (da allora ha cercato di redimersi).

Così adesso ti senti chiuso all’angolo. 30 anni fa giovedì scorso (il giorno del Ringraziamento) i generali sovietici ebbero la brillante idea: “invadiamo l’Afghanistan!”. Bene, quella prodezza si dimostrò essere l’ultimo chiodo della bara dell’URSS.

C’è una ragione per cui non chiamano l’Afghanistan lo “Stato Giardino” (anche se forse dovrebbero, visto che il corrotto presidente Karzai, che noi supportiamo, ha un fratello nel mercato dell’eroina). Il nomignolo dell’Afghanistan è “Tomba degli Imperi”. Se non ci credi, fai una chiamata agli Inglesi. Ti farei telefonare a Genghis Khan ma ho perso il suo numero. Però ho quello di Gorbaciov: e’ + 41 22 789 1662 Sono sicuro che potrebbe tirarti le orecchie per la cantonata storica che stai prendendo.

Con il crollo della nostra economia ancora al suo massimo e i nostri giovani uomini e donne sacrificati sull’altare dell’avidità e dell’arroganza, il disfacimento di quella civiltà che chiamiamo America finirà senza indugi nell’oblio, se tu diventerai il nuovo “presidente di guerra”. Gli imperi non pensano mai che la fine sia vicina, finché non arriva. Gli imperi pensano che una maggiore forza bruta terrà i barbari lontano dai confini: eppure non funziona mai. Solitamente i barbari li fanno a pezzi.

Scegli attentamente, presidente Obama. Tu fra tanti sai che non deve andare in questa maniera. Hai ancora qualche ora per ascoltare il tuo cuore e il tuo lucido pensiero. Tu sai che niente di buono può venire dal mandare nuove truppe dall’altra parte del mondo in un posto che né tu né loro capite, per raggiungere un obiettivo né tu né loro comprendete, in un paese che non ci vuole. Puoi sentirlo nelle ossa.
Io so che tu sai che sono rimasti MENO di 100 uomini di Al-Qaeda in Afghanistan! Centomila soldati che cercano di sconfiggere 100 uomini che vivono nelle grotte? Ma sei serio? Hai bevuto il Kool-Aid di Bush? Mi rifiuto di crederlo.

La tua potenziale decisione di espandere la guerra (mentre dici che fai così per poter “terminare la guerra”) sarà più importante nel determinare la tua eredità nel futuro che le tante grandi cose che hai detto e fatto nel tuo primo anno. Un altro osso lanciato da te verso i Repubblicani e la coalizione degli speranzosi e dei senza speranza che ti ha eletto sarà dissolta e questa nazione sarà di nuovo nelle mani dei portatori d’odio in meno tempo che tu possa gridare: “Tè!”.

Scegli attentamente, signor Presidente. Gli uomini delle corporations che ti appoggiano ti abbandoneranno appena sarà chiaro che tu sei un presidente da un solo mandato e che la nazione sarà facilmente di nuovo in mano ai soliti idioti che fanno le loro scommesse. Questo potrebbe succedere mercoledì mattina.

Noi, la gente, ti amiamo ancora. Abbiamo ancora una scheggia di speranza. Ma noi, il popolo, non ce la facciamo più. Non tolleriamo più il tuo arrenderti, ancora e ancora, quando ti abbiamo eletto con un ampio, enorme margine di milioni di voti per andare lì e fare quel lavoro. Quale parte di “vittoria a valanga” non ti è chiara?

Non ti lasciar ingannare dall’idea che mandare un po’ di truppe in più in Afghanistan farà una qualche differenza. O che ti guadagni il rispetto dei portatori d’odio. Non si fermeranno finché questa terra non sarà fatta a pezzi e ogni dollaro sarà strappato ai poveri o a quelli che lo diverranno a breve. Potresti mandare un milione di soldati e la folle Destra non sarebbe ancora contenta. E tu saresti ancora vittima del loro veleno incessante sulle televisioni e radio dell’odio perché non importa cosa tu faccia, non puoi cambiare l’unica cosa di te che li mandi in bestia.

I portatori d’odio non ti hanno eletto, e non possono essere sconfitti adesso abbandonando il resto di noi.

Presidente Obama, è tempo di tornare a casa. Chiedi ai tuoi vicini a Chicago e ai genitori dei giovani uomini e donne che combattono e muoiono se vogliono che nuovi miliardi e soldati siano mandati in Afghanistan. Pensi che diranno: “No, non ci serve l’assistenza sanitaria, non ci serve il lavoro, non ci servono le case. Vai avanti, presidente. E manda i nostri averi e i nostri figli e figlie oltremare, perché non ci servono neanche loro”.

Cosa farebbe Martin Luther King Jr? Cosa farebbe tua nonna? Non mandare nuove persone povere ad uccidere altre persone povere che non rappresentano alcuna minaccia per loro, ecco cosa farebbero. Non spendere miliardi e triliardi per finanziare la guerra mentre i bambini americani dormono in strada e fanno le file per il pane.

Tutti noi che abbiamo pregato e votato per te e pianto la notte della tua vittoria hanno sopportato un inferno orwelliano per otto anni di crimini commessi nel nostro nome: torture, rapimenti, sospensione della Carta dei Diritti, invasioni di nazioni che non ci avevano attaccato, esplosioni di sobborghi in cui Saddam avrebbe potuto essere (ma non era mai), bombardamenti di feste di nozze in Afghanistan. Abbiamo visto centinaia di migliaia di civili iracheni massacrati e decine di migliaia di nostri coraggiosi giovani uomini e donne siano uccisi, feriti o con problemi psicologici: il terrore totale di quanto noi conosciamo a malapena.

Quando ti abbiamo eletto non ci aspettavamo miracoli. Non ci aspettavamo un cambiamento epocale. Ma un piccolo cambiamento sì. Pensavamo che avresti fermato la follia. Fermato le uccisioni. Fermato la folle idea che uomini con le armi possano riorganizzare una nazione che non funziona come una nazione e mai lo è stata.

Fermati, fermati, fermati! Per amore delle vite di giovani americani e dei civili afgani, fermati. Per amore della tua presidenza, della speranza e del futuro della nostra nazione, fermati. Per amor di Dio, fermati.

Stasera abbiamo ancora speranza.

Domani, vedremo. La palla è nel tuo campo. NON devi farlo. Puoi diventare un modello di coraggio. Puoi essere un degno figlio di tua madre.

Contiamo su di te.

Tuo,
Michael Moore.

mercoledì 25 novembre 2009

Massime (2)

Cosa servirebbe oggi? Più coraggio nel difendere le proprie opinioni. E molta più umiltà nel formarsele.

domenica 15 novembre 2009

Massime

Più sconfortante dello scoprirsi ogni volta troppo sinceri è il non riuscire mai a dire tutta la verità.

lunedì 12 ottobre 2009

Smiling Underneath

Mia vecchia abitudine, tradurre i testi fenomenali di una fenomenale (e bellissima) cantante, fenomenale chitarrista e fenomenale autrice d'oltre oceano, praticamente sconosciuta in Italia: Ani DiFranco.
Qui dal suo ultimo disco, un testo semplice e dolcissimo, che descrive un ragionamento che tutti abbiamo fatto.

Smiling Underneath (traducibile con un "Ridendo sotto i baffi")



Non importa se devo aspettare in fila, oh no
Non importa se le pratiche si accumulano ed il lavoro è lento
Non importa la benzina, i supermercati, il tran tran
Finché sono con te sto bene

Non importa il cameriere sbadato o il cibo cucinato male
Non importa la signorina micina e il suo stupido ragazzo
Non importa se ogni persona qui è brutta o scortese
Finché sono con te sono di ottimo umore.

Finché sono con te
Potremmo rimanere bloccati nel traffico per più di una settimana
In una macchina con cinque gemelli a cui stanno spuntando i denti
E potrei avere attorno al collo una corona di Natale in fiamme
E starei ugualmente ridendo sotto i baffi.

Non importa svegliarsi presto per un volo che partirà in ritardo
Non importa se la nostra settimana di vacanza è fredda ed uggiosa
Non importa dei vigili e della sicurezza in aeroporto
Finché sono con te è una giornata meravigliosa.

Non importa se mi verso della salsa bollente sulla camicia bianca
Non importa la fitta quando cammino su quel ginocchio che mi fa male
Non importa se le mie gengive si ritirano o se i miei capelli si diradano
Finché sono con te io vinco

Finché sono con te
Potremmo rimanere bloccati nel traffico per più di una settimana
In una macchina con cinque gemelli a cui stanno spuntando i denti
E potrei avere attorno al collo una corona di Natale in fiamme
E starei ugualmente ridendo sotto i baffi.

venerdì 9 ottobre 2009

Il segno dei tempi

Quindici anni di berlusconismo ci hanno distrutto, contro i ducetti siamo passati dalle monetine ai telefonini...


La Volontà Generale di Berlusconi. La sua.


La notizia bomba di ieri è la bocciatura del Lodo Alfano.
Passata la prima, comprensibile (e meritata) euforia, la cosa che mi ha tenuto più tempo a riflettere sono state le argomentazioni di Berlusconi e dei suoi amici e alleati contro ogni ipotesi di dimissioni del governo.
Già, non la volgarità di Silvio contro la Bindi (volgarità che invero, in lui, non mi stupiva così tanto da tempo), non la solita ignavia del Pd (che non deve trarre conseguenze politiche dalla vicenda, D'Alema dixit), ma il candore con il quale politici navigati che ricoprono ruoli istituzionali si lascino andare ad affermazioni totalmente contrarie alla Costituzione e di fatto eversive.

Il concetto è quello che ripetono ormai ossessivamente. Il consenso popolare di cui gode Silvio, con i "milioni di voti" apposti sul simboletto con la scritta "Berlusconi presidente" metterebbe il Capo e il suo governo al riparo dalla Costituzione e dalla legge, impersonate dalle insidie ingegnate dai noti bolscevichi della Corte Costituzionale, dai magistrati di Milano, addirittura da Napolitano (che povero, il lodo l'aveva pure firmato).
Tutto ciò contraddice l'art 1 dela Costituzione ("La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nei limiti della Costituzione"). Ma fin qui nulla di strano.

Se non fosse che questo concetto assomigli moltissimo alla Volontà Generale di Rousseau (quello nella foto), ossia, in due parole, la teoria della sovranità popolare assoluta (svincolata da ogni legge o magistratura) le cui azioni si presuppongono vere e morali e a cui ogni individuo deve sottomettersi.

O meglio, le stentate frasi dei difensori del governo (della serie "Berlusconi ha preso i voti, se lo processano è un attentato alla democrazia") assomigliano molto alle altrettanto rozze argomentazioni usate dai fascisti e dai democristiani di ogni epoca per attaccare i valori della Rivoluzione Francese, prima, del progresso sociale, della sinistra in genere e in particolare dei comunisti.

Per tale visione del tutto reazionaria, i rivoluzionari francesi erano coloro che, issandosi al di sopra delle consuetudini, delle leggi esistenti, della religione (in realtà dei privilegi secolari di sovrani, nobili, prelati) si auto nominarono attuatori di una Volontà Generale (il bene del popolo che intendevano rappresentare) per attuare i loro intenti di dominio.
Un filo rosso, poi, unirebbe secondo questa visione Rousseau a Robespierre, il Terrore alla Rivoluzione d'Ottobre e allo stalinismo. Ovvero la fedeltà cieca ed integralista ad una verità assoluta, ad un ideale, ad un dogma, che annebbiando la mente condurrebbe l'uomo ai peggiori abomini, azzerando ogni riverenza per Dio e il diritto naturale, ogni tolleranza per il diverso e per ogni punto di vista esterno. I comunisti italiani, da ultimi, sono stati descritti come irriducibili alla democrazia, peccaminosi e mangiatori di bambini.

Sul punto, storicamente e filosoficamente, ci sarebbe molto da discutere, serenamente.
Ma che a difensori di tale punto, in pratica, si ergano i peones di Berlusconi, dimostra quanto costoro abbiano perso ogni senso della democrazia liberale, della divisione dei poteri, del senso delle istituzioni (tutti baluardi contro la sinistra bolscevica, naturalmente).
Le elezioni diventano il diritto divino che unisce il popolo al Re, novello Luigi XIV.

E' del tutto insufficiente ormai qualsiasi appello alla semplice difesa della Costituzione e delle istituzioni Repubblicane. Il giochino si è rotto da tempo. Ogni invito a Berlusconi a continuare a governare è in questo senso intollerabile.
Il premier è un massone corrotto e corruttore, in rapporti con la mafia. Il Parlamento un'adunata di galoppini nominati d'ufficio, l'economia è in mano ad approfittatori, che o chiudono le fabbriche per salvare i profitti a breve termine oppure sono direttamente parte della criminalità organizzata.

Deve tornare all'ordine del giorno la parola Rivoluzione.